āl-Hijâb: Il significato spirituale del velo islamico

Premessa: considerazione sulle fonti islamiche e sull'Islam in generale

Prima di addentrarci sulla natura, sulle origini e sul significato etimologico, storico, culturale e spirituale dell'Hijāb è bene fare una premessa in merito all'approccio analitico che vogliamo dare quando si citano e si commentano i contenuti delle fonti islamiche: nello specifico al-Qurʾān (Corano) e Sunnah.
L'applicazione della critica analisi testuale, dello studio filologico della lingua, (strumenti fino a poco tempo fa, prerogativa del mondo occidentale) insieme ad un serio ragionamento analogico personale (ijtihādqiyās) e naturalmente all'opinione personale (ra'y), ci consente di postulare alcune premesse sopratutto quando si va a leggere e commentare il Nobile Corano.

La base di partenza è quella secondo cui il testo coranico raccoglie in sé, sia la narrazione di episodi puramente storici, sia nozioni e regole, ma nasconde celandolo fra  le righe spesso allegoriche, dei profondi significati spirituali e mistici, che la sola lettura ed interpretazione dogmatica, (sebbene competente) ne rivela solo l'aspetto esteriore teologico e giurisprudenziale del significato di certi versetti, ma non va in profondo alla ricerca dell'essenza spirituale del messaggio.

Inoltre, punto fondamentale di questo studio: mai separare ed assolutizzare un versetto dal contesto a cui esso appartiene, bisogna sempre tener presente quando e come, in che circostanze storiche, la parte citata di una determinata sūrah è stata rivelata; separando ciò si corre il rischio di perdere il senso del testo nel contesto, si rischia così di assolutizzare e generalizzare un precetto, una regola, un uso che appartiene al contesto, all'ambiente, al periodo storico cui esso viene citato. Facendo così, si creano pericolose  e fuorvianti interpretazioni dogmatiche che, supportate dai propri interessi (di chi le appoggia), e supportate da una nostalgico approccio conservatorista alle sacre scritture, si radicano in un tradizionalismo di presunti valori arcaici che perde completamente il senso spirituale e profondo del messaggio religioso e non riesce ad integrarsi nel contesto moderno.

Premesso questo, e considerata l'universalità e la a-temporalità del messaggio dell'Islam, oggi, il nostro obbiettivo sarà quello di ricavare il significato spirituale più profondo del messaggio religioso, fino a dove la lettura, la conoscenza ed il ragionamento logico ci fa arrivare, tenendo presente comunque che il solo uso della mente con riferimento alla conoscenza, comporta inevitabilmente una limitatezza, per sua natura, e per la comprensione con un elevato grado di consapevolezza la mente non basta e servono altri strumenti meditativi.

La lingua araba, inoltre, è densa di parole che esprimono diversi significati, a a seconda del contesto in cui si trovano.

Per ogni versetto (āyāt) del Corano citato, tra le varie traduzioni italiane più famose, riporteremo anche due o tre versioni diverse, nel caso fossero differenti (dalla versione di Hamza Piccardo (1994), alla versione di G. Mandel(2004) fino all'ultima versione di Ida Ziliograndi(2010))

In uno studio prettamente islamistico (non necessariamente laico, ma sicuramente critico-storico), c'è da tener presente sempre che tutto ciò che sappiamo ora dell'Islam del VII sec. d.C. risulta "filtrato", negli anni da regimi, filoni di pensiero, intrecci di culture, interessi personali, attraverso catene umane di trasmissione (chiamate "isnād", come per quanto riguarda la Sunnah, la raccolta di "ahādīth""detti" del Profeta, che formano la tradizione islamica) e da redazioni postume di frammenti scritti e orali della rivelazione.

Inoltre, oggettivamente, quando si parla di "obbligatorietà" o meno di un precetto, bisogna distinguere ciò che se ne deduce a livello di giurisprudenza islamica (attraverso le consuete fonti di diritto islamico: Corano, Sunnah, (raccolta di detti), Ijmāʿ (consenso dei dotti) e qiyās (ragionamento deduttivo), ove la fusione prettamente "umana" tra loro avvenne ben più tardi della rivelazione, da ciò che è puramente e religiosamente rivelato, che molte volte da solo non determina un'imposizione.

In merito al concetto di "Ummah(comunità), una cosa fondamentale da tener presente è che, in realtà, oggi come oggi, tale definizione riunisce un insieme di popolazioni (estese geograficamente a livello mondiale tenendo conto anche delle comunità minoritarie in occidente) accomunate sì da una fede comune, ma in effetti sempre legate ciascuna ai propri retaggi culturali alle proprie tradizioni anche antiche, che ancora oggi determinano variazioni nel modo di intendere e di vivere la vita di ogni musulmano. Tale "fede comune" spesso spazia oltre i fondamenti base del credo islamico e si mescola con tradizioni, abitudini ('ādat)  proprie locali o importate generalmente dal modello di vita della penisola arabica islamica.

Questo studio trae origine dall'analisi, naturalmente, delle fonti islamiche, ma anche dalla comparazione con altre fonti di altre religioni o prettamente storiche che fanno da compendio e completano il quadro generale dell'originale messaggio religioso e dello status comune delle donne dell'Arabia pre e post islamica, visto da un punto di vista anche esterno e non particolarmente influenzato da manipolazioni o strumentalizzazioni storico-sociali.

Il contenuto di quest'analisi vuole solo essere da spunto informativo che si dissocia dal consueto credo canonico islamico e non deve essere strumentalizzata  nell'interesse di chi vuole screditare i valori islamici sulla base di un'intransigente presunzione di saggezza.


Storicità e significato antropologico del velo per le donne

In ambito occidentale il discorso del velo è apparso, alle cronoche pubbliche, sì con i primi ricongiungimenti seguenti alle prime immigrazioni (all'inizio erano composte essenzialmente da soli uomini), ma sopratutto dopo i fatti dell'11 settembre 2001, come quesito più o meno condizionato sull'utilità (puramente materiale) dell'uso dello stesso in occidente. Finché l'uso del velo rimaneva nel territorio da cui proveniva, (quasi dimenticandone l'uso cristiano storico e attuale nel matrimonio e nelle suore) non ci si poneva alcun problema, ma quando si instaura una condizione di convivenza scatta il meccanismo del confronto sulla base delle proprie culture: il confronto con lo "straniero", portatore di ciò che è "estraneo" a noi.

Il velo generalmente, è visto negativamente in occidente con una connotazione simbolica di una profonda diversità culturale, che sfocia spesso nella visione pretestuosa di presunta sottomissionearretratezza, arcaicità (paragonando al periodo medievale europeo) e si inserisce in un quadro di propaganda anti-islamica più o meno esplicita.

Inizieremo con un veloce carrellata storica dell'uso del velo da parte delle donne.

Il velo, sicuramente non è originario dell'Islam. Nelle culture dell'antichità, nonostante le testimonianza siano scarse, si presume che il velo venisse usato, in origine, più come una protezione pratica nei confronti di agenti atmosferici, tipo sabbia, polvere o vento forte nei luoghi desertici, sia per uomini che per donne.

L'aspetto socio-culturale del velo, ma più in generale dell'abbigliamento in sé, avvenne sicuramente in un secondo momento, assumendo connotati religiosi, sociali e politici.

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